Crisis Management, Pinkwashing, Greenwashing. Sono termini di marketing che in alcuni casi hanno un carattere non del tutto positivo. Si tratta comunque di tecniche comunicative molto utilizzate, sempre più spesso anche nel web, da aziende come Ikea, Shell, Barilla. In questo articolo analizzeremo brevemente alcune di queste strategie, che riguardano, tutte, la Web Reputation di un brand.
Un bell’esempio di Crisis Management: Eni
Qualcuno ricorderà la querelle tra Eni e Report. La nota trasmissione di Raitre si era occupata del colosso italiano nella puntata “La Trattativa”. Non è compito di chi si occupa di comunicazione valutare il merito della disputa, ma solo rilevare i metodi e le tecniche usate. In sintesi, Report accusava Eni di alcune irregolarità nella gestione dei fondi. Un’accusa potenzialmente molto dannosa per l’immagine dell’azienda.
Eni, comunque la si pensi, ha fornito molto materiale a giornalisti e marketers sul cosidetto Crisis Management. La strategia di Eni è stata sostanzialmente quella di rispondere alle accuse durante la messa in onda della puntata, dal suo account Twitter ufficiale e dagli account Twitter di alcuni dei suoi dirigenti. Si è verificata così una inedita sovrapposizione tra due media, quello televisivo e il social network.
Sottolineiamo che Twitter è il social network principe per chi vuole commentare programmi televisivi, dove Report ha un seguito molto consistente, e quindi si trattava del luogo ideale dove rispondere alle domande sollevate dall’inchiesta della trasmissione.
Man mano che il servizio di Report veniva trasmesso, Eni rilasciava su Twitter dichiarazioni e documenti che rispondevano punto per punto all’inchiesta in onda negli stessi minuti, arrivando a rispondere anche ai singoli utenti. Report in questo caso non si è mostrato altrettanto attivo sul social network, suscitando perfino del malumore. Indice di quanto la strategia di Eni si fosse rivelata efficace.
Pinkwashing: negativo… o positivo?
Un’altra tecnica molto usata recentemente dalle aziende, nel web 2.0, è chiamato, forse un po’ spregiativamente, pinkwashing. E’ un altro dei modi in cui si può cambiare, anche radicalmente, la percezione che si ha di un brand.
Letteralmente, ‘lavare con il rosa’, un altro esempio di Crisis Management.
Fino a qualche decennio fa i marketers dovevano indirizzarsi ad un pubblico fortemente tradizionalista. I messaggi rispettavano gli stereotipi dell’organizzazione sociale. Con l’evolversi della società e le lotte per i diritti civili la situazione oggi è praticamente invertita.
In sostanza, si tratta di progettare dei messaggi e delle politiche che siano gay-friendly. In un contesto, naturalmente, di web 2.0. Le posizioni a questo proposito sono diverse. C’è chi all’interno della comunità gay vede con favore le rappresentazioni delle loro realtà, e chi invece sottolinea come si tratti semplicemente di marketing, adattato a nuove fette di mercato.
In realtà il ‘pinkwashing‘ può essere autentico. Non molto fa il proprietario della Barilla, (che, ricordiamo, è la più grande fabbrica di pasta al mondo), fece alcune dichiarazioni non esattamente gay-friendly. Ne scaturì un clamore sensazionale. La protesta, amplificata massicciamente dai social network, finì per costare a Barilla boicottaggi, lamentele e aggressioni.
Sul web, i competitors si affrettarono a pubblicare messaggi in cui supportavano le coppie omosessuali. La mensa di Harvard annullò il contratto di forniture. Giornalisti, opinionisti e influncer, su Facebook e Twitter, si affrettarono a dichiarare che prendevano, ognuno a proprio modo, le distanze da Barilla.
Lo stesso Guido Barilla rimase sorpreso del forte danno alla reputazione e Web Reputation della sua azienda. Anche in questo caso questa corse ai ripari: un altro caso di Crisis Management. La comunicazione della Barilla cominciò subito a cambiare e a rinnovarsi, nel web e fuori dal web, e furono adottate addirittura una serie di misure per il sostegno dei lavoratori omosessuali.
Barilla arrivò addirittura a pubblicare la foto di una coppia omosessuale in uno dei siti aziendali. Guido Barilla stesso si mostrò in un video di scuse e alcuni osservatori del movimento LGBT dissero che si trattava di un caso di autentico ripensamento delle politiche aziendali e di immagine. Tanto da non escludere gli spot televisivi con coppie omosessuali, come già fatto da Findus e Ikea.
Greenwashing: Marketing verde.
Un altro esempio di inversione di rotta. Il Greenwashing, (‘lavare con il verde’), un altro esempio di Crisis Management.
La sensibilità moderna, come notiamo tutti i giorni, sta cambiando. E le aziende si adeguano, anche nel caso della cosidetta economia “green“, (anche se forse non in modo strutturato), per dare un’immagine moderna al proprio brand. La tecnica linguistica, nella sua essenza, consiste nel promuovere nuovi prodotti ad impatto ambientale ridotto usando parole chiave come “green“, “eco” o “eco-friendly” nel messaggio pubblicitario.
E’ il cosidetto Greenwashing, preso di mira da alcune associazioni ambientaliste perche si tratterebbe in alcuni casi solo di un’operazione di facciata. (E’ il caso della formidabile Greenpeace, che monitora con puntigliosità la veridicità dell’impegno ambientalista dei marchi).
Ma il Greenwashing non è solo apparente. C’è effettivamente una sensibilità diffusa nei confronti del clima, tanto che Shell (il suo patrocinio è stato tuttavia controverso) ha sponsorizzato un incontro sul clima, ha promosso dei Tweet Sponsorizzati per la salvaguardia di specie animali ed Eni stessa ha corretto i suoi messaggi pubblicitari in televisione. Per non parlare di quanto fatto dalle case automobilistiche in termini di emissioni di CO2.
Di più e meglio hanno fatto i marchi di moda. Gucci ha collaborato in una partnership con Rainforest Alliance, per esempio, ONG che si occupa dell’Amazzonia. H&M e Puma hanno lanciato e pubblicizzato sul web prodotti realizzati ad hoc per un mercato di persone sensibili ai temi ambientali e animalisti. Gli abiti ecologici sono diventati un piccolo settore competitivo.
Quindi, non solo per rinnovare la propria immagine e per la Web Reputation. O per correggere (come nel caso del Crisis Management di Shell) l’immagine del brand. Ma per un vero interesse economico.
Anche la comunicazione sul web e nei social network si aggiorna in questo senso, per essere più green. Si tratta di creare dei messaggi che possano raggiungere una fetta del mercato ‘diversa’ dal solito, in modo da consolidare nei consumatori di un marchio non solo qualitativamente affidabile, ma rispettoso di standard etici ridefiniti.
Anche se ancora molto rimane da fare per intercettare questi interessi, anche per quanto riguarda il social media marketing.